Pensando ad un aggettivo per descrivere la capitale del Regno di Cambogia, bello non è il primo che mi viene in mente. Phnom Penh è una piccola capitale priva di monumenti di rilievo e senza neppure lo sfavillio moderno delle nuove tigri asiatiche, però a me è comunque piaciuta molto e sono stata ben felice di averci trascorso un paio di giorni.
Il mio trionfale ingresso in città è avvenuto via terra con un taxi che abbiamo affittato a Siem Reap. La strada che unisce le due città è assolutamente dignitosa. Si impiegano circa 5 ore per comprire il tragitto. Lungo la strada il paesaggio tipico indocinese: 50 sfumature di verde!
Phnom Penh è adagiata là dove il Mekong incontra il Tonle Sap. E’ bello passeggiare al tramonto sulle rive che si popolano di coppiette, monaci, famigliole e bambini con giochi per noi antichi. Turisticamente parlando, un paio di giorni sono del tutto sufficienti per uno sguardo alla città.
La principale attrazione culturale è costituita dal Palazzo ancor oggi abitato dalla famiglia Reale cambogiana. Il palazzo fu stato costruito dai francesi alla fine dell’800 e al suo interno ha diversi Padiglioni, mentre l’edificio principale è la Sala del Trono in stile khmer ad imitazione del Bayon di Angkor. Accanto al Palazzo Reale c’è la Pagoda D’Argento così chiamata per i suoi pavimenti realizzati in questo prezioso materiale. All’interno è situata una Statua del Buddha di smeraldo realizzata in cristallo Baccarat e di fronte il Buddha dorato, realizzato in oro e tempestato di diamanti. Pare non fossero gli unici tesori della Pagoda. La restante parte è stata razziata dai Khmer Rossi che però hanno almeno salvaguardato la struttura.
Tuol Sleng (Museo del Genocidio). Dopo la presa di potere dei Khmer rossi, quella che prima era una scuola, divenne luogo di interrogatori e torture (fatto non nuovo quello di utilizzare la casa delle idee per mettere a tacere un popolo). La scuola venne chiamata Prigione di Sicurezza 21. Di qui passarono più di 20.000 persone che una volta entrate avevano due alternative: sopravvivere alle torture per essere trasferiti dopo l’interrogatorio in un campo di sterminio, oppure finire direttamente in una fossa comune. Solo sette (7) persone sono sopravvissute, salvate dai loro talenti artistici e ancor oggi alcuni di loro se ne stanno all’ingresso quali testimoni viventi dell’orrore. Una parte delle classi venne suddivisa in piccole celle con muri di mattoni grezze e in alcune è conservata la foto dello stato in cui vennero ritrovate.
Altre classi sono state adibite alla conservazione delle fotografie dei detenuti. Gli aguzzini imprimevano su pellicola i volti delle loro vittime, numerandoli ed archiviandoli. Volti tumefatti, sguardi terrorizzati ma inconsapevoli di quanto li stava aspettando. Vecchi, uomini, donne, bambini e perfino neonati, trucidati senza alcuna pietà. Questa è la parte più dolorosa della visita, viene in mente il titolo di un famoso film girato proprio qui: Urla dal Silenzio.
Sembra infatti che quei muri, in alcuni punti ancora sporchi di sangue, trasudino tutto il dolore che tra di essi si è consumato. Non so se Phnom Penh possa piacere o no, ma questo è un luogo che testimonia fino a che punto la cattiveria umana può arrivare e che bisogna vedere per non dimenticare!
Tornando ad argomenti più frivoli la visita della città si completa con un po’ di shopping. Si può fare un giro al mercato centrale con la sua cupola in art decò dove si trovano anche pezzi di antiquariato, argenteria e tessuti, oppure al colorato e fotogenico Russian Market.
Dove pernottare: al THE PAVILLON. Io l’ho trovato delizioso, una casa coloniale a due passi dal palazzo reale, con camere ampie, un bel giardino e una piccola piscina, un’oasi di pace.
Infine un consiglio agli amanti del Sud Est Asiatico, visitate la Cambogia per ultimo perché poi nulla vi sembrerà così bello!
#cercounhashtagperviaggiare
Che meraviglia. … il tuo Blog riesce a trasmettere tutta la vostra voglia di viaggiare
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Mi fa piacere… Uno degli obiettivi é proprio quello di condividere!
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